ASCOLI PICENO
Una passeggiata tra i vicoli di una delle città più suggestive d’Italia, tra storia, leggenda e cucina…
Punteggiata da torri e campanili e avvolta nel caldo colore dorato del travertino, Ascoli è una città da vivere, gustare, esplorare e ammirare.
Alcune classi quarte dell’I.I.S. Fermi-Sacconi-Ceci di Ascoli Piceno hanno cercato di guardare a questa città con sguardo curioso e indagatore, ripercorrendo la storia di due simboli particolarmente suggestivi e rappresentativi di Ascoli.
Hanno per prima cosa interrogato alcuni fra i protagonisti della Quintana, sicuramente uno degli eventi clou dell’estate di Ascoli Piceno, orgoglio dei residenti e attrazione per migliaia di appassionati da tutta Italia. Sappiamo con certezza che la Giostra della Quintana era presente già negli Statuti Ascolani del 1377. Anticamente si svolgeva all’interno di Piazza Arringo, e vi partecipavano i cavalieri dell’oligarchia magnatizia della città e altri che provenivano, su invito, da altre parti d’Italia.

Nel 1955 fu rilanciata come importante momento di partecipazione popolare, e da quel momento in poi la sua popolarità ha mai smesso di crescere.
Oggi il torneo cavalleresco della Quintana è una sfida nella quale si cimentano sei cavalieri, ciascuno rappresentante un sestiere cittadino. La giostra consiste nel colpire con la lancia, in tre assalti consecutivi da ripetersi per tre volte ogni turno (“tornata”), il bersaglio del saraceno, costituito dallo scudo sistemato sul braccio sinistro del saraceno.
Gli studenti dell’I.I.S. di Ascoli, si sono messi poi, letteralmente, sulle tracce della vita incredibile di un illustre concittadino che fu poeta, medico, insegnante, astronomo e astrologo, e che animò e scosse il dibattito intellettuale della penisola italiana tra il XIII e il XIV secolo. Francesco Stabili, meglio conosciuto come Cecco d’Ascoli fu, in effetti, un uomo di altissimo ingegno, ma anche di carattere non facile. Amico e consigliere di Dante fino alla brusca rottura del loro rapporto, integerrimo e ostinato, mai esitò a esprimere le proprie idee e a criticare personaggi potenti e perfino Papi.
Nato ad Ascoli Piceno, studiò nella prestigiosa e antica università di Bologna, dove divenne magister e lettore di astrologia. Contemporaneamente non rinunciò mai a scrivere poesie e a coltivare i suoi interessi nei campi della negromanzia e della magia nera. Fu autore di diverse opere, tra cui l’Acerba, poema scritto in volgare, e La Sfera, trattato in latino. Cecco spesso utilizzò le scienze – e in particolare l’astrologia, di cui era uno dei più fini e stimati studiosi del suo tempo, per perorare le cause della fazione politica da lui sostenuta. Lo scontro con l’Inquisizione, accusata da Cecco di perseguitare e punire il libero pensiero, portò Cecco a subire ben due processi, l’ultimo dei quali si concluse con una condanna a morte, che fu pubblicamente eseguita il 16 dicembre del 1327, quando Francesco Stabili aveva 58 anni. Alcuni testimoni, si dice, udirono le seguenti parole, pronunciate mentre il corpo dello studioso eretico si arrendeva alla morte: “L’ho detto, l’ho insegnato. Io credo”.
I PROTAGONISTI DELLA QUINTANA
Vi proponiamo due interviste: la prima a Luigi Lattanzi e Luigi Morganti, la seconda a Lorenzo Melosso.
ITINERARIO
L’itinerario che qui proponiamo ripercorre dunque le tracce della vita incredibile di Cecco d’Ascoli (itinerario originale ideato dalle guide Valeria Nicu e Valentina Carradori), e quelle della popolarissima Giostra della Quintana. Dopo la proposta di un itinerario per non perdere le principali bellezze del centro cittadino, sentendoci un po’ stanchi, accontentiamo la gola con alcune tra le migliori ricette ascolane!
SULLE TRACCE DI CECCO D’ASCOLI
PORTA ROMANA E PORTA CECCO D’ASCOLI

Primo luogo ascolano simbolo di Cecco d’Ascoli è la piazza a lui intitolata, nei pressi di Porta Romana. La tradizione vuole che Cecco visse in una piccola casa (poi distrutta nel 1800) di questo quartiere dove, in epoche successive, tanti residenti si sono recati a scavare, in cerca non solo e non tanto di presunti tesori legati al celebre concittadino, quanto e soprattutto del leggendario Libro del Comando, che Cecco avrebbe trovato in una grotta e poi segretamente custodito. Il Libro del Comando, secondo la tradizione, consentirebbe di dominare gli spiriti maligni della natura. Per liberare i propri poteri magici, inoltre, il libro doveva essere immerso una volta all’anno nel Lago di Pilato, sul Monte Vettore, durante un rito che prevedeva la recitazione specifiche formule magiche.
Ma non è questa la sola leggenda che lega il quartiere di Porta Romana alla figura enigmatica di Cecco: secondo la tradizione, il futuro magister da giovane era innamorato di una monaca di nome Lucia che viveva nella chiesa di Santa Maria delle donne, a pochi passi da Piazza Cecco d’Ascoli. Non si ha certezza dell’esistenza di Lucia e dell’amore che per lei avrebbe nutrito Cecco, ma certo è che l’autore conosce molto bene la chiesa, che cita anche quando, lontano ormai da Ascoli da diversi anni, si accinge a scrivere l’Acerba.
E ancora: la leggenda narra che la madre di Cecco d’Ascoli fosse una sacerdotessa dell’antico culto della dea Ancaria, signora degli animali. Cecco nacque sul prato dove sorgeva il santuario della dea durante un rito orgiastico.
PIAZZA SAN TOMMASO E VIA DEL LAGO

Accanto a Piazza San Tommaso, che in epoca romana costituiva l’anfiteatro cittadino e si dice fosse ricoperta d’acqua per permettere lo svolgersi delle naumachie (gli antichi spettacoli rappresentanti battaglie navali), sorge una via chiamata Via del Lago. Nella sua opera principale, l’Acerba, Cecco d’Ascoli prende spunto da una donna nata e vissuta proprio in questa via, chiamata Leta del Lago e mamma di nove gemelli, per spiegare la teoria della “super impregnazione”, condivisa da molti studiosi del suo tempo: secondo questa ipotesi una donna poteva concepire fino a nove gemelli se, dopo il primo concepimento, continuava ad avere rapporti sessuali.
“Come addevenne a Leta del Laco / Che fè do nati là ov’era io: / Uno del nono, l’altro lo fe’ nel dece; / Qual foe concepito nel tempo serato, / Quando a la voglia sua sodesfece. / Per gran voler de l’acto carnale / Se gemina ‘l concepito già creato, / Quando a la donna ben d’amor l’encale.”
Abbiamo già detto che Cecco non fu il solo a trattare il tema dei gemelli: Dante stesso aveva indagato e spiegato questo fenomeno della riproduzione umana, ai tempi considerato piuttosto peculiare.
Ed ecco arrivati ad un aspetto della vita del nostro concittadino particolarmente discusso e controverso: il suo rapporto con Dante. Amici, nemici, invidiosi l’uno dell’altro?
Cecco d’Ascoli e Dante facevano parte della stessa setta, denominata dei “Fedeli d’Amore” e affiliata ai Templari, sulla quale in molti hanno disquisito ma della quale poco sappiamo. Quando Dante si staccò da essa, ciò creò non poco malumore e critiche nei suoi riguardi da parte degli ex confratelli, Cecco compreso, che più volte e in diverse opere non risparmiò aspre critiche a colui che, in passato, era stato per lui amico, consigliere e collega di studi.
La polemica nei confronti di Dante è diventata notevole, ma il suo atteggiamento non era ispirato da invidia, come si credeva un tempo, ma da una diversa impostazione di pensiero e dal bisogno di difendere la “verità della scienza” del suo tempo. Per questo motivo si scaglia aspramente contro altre forme poetiche di evasione dalla realtà. Da qui ha origine la sua polemica con Dante. Suo bersaglio preferito è pertanto la Divina Commedia vista come la negazione della “scienza vera”.
Il celebre poema enciclopedico, L’Acerba di Cecco d’Ascoli, come la Divina Commedia è una summa del sapere medievale. Come Dante per il suo poema Cecco scelse il volgare (un italiano di derivazione umbro-marchigiana) e il verso della terzina doppia, ma ripudiò le «fabule» di Dante, che già avevano grande successo (“Qui non si canta al modo delle rane, / Qui non si canta al modo del poeta / Che finge, immaginando, cose vane; / Ma qui risplende e luce ogni natura / Che a chi intende fa la mente lieta. / Qui non si sogna per la selva oscura […] / Lascio le ciance e torno su nel vero / Le favole mi fur sempre nemiche”).
Per Cecco la sfera religiosa e teologica doveva essere separata dalla speculazione scientifica. Così, con questa ampia enciclopedia in rima, l’ascolano non solo ci espone le sue conoscenze di grande scienziato, ma propone anche la sua personale metafisica. Proprio questa “eccessiva” libertà di pensiero, come accadrà più tardi per Giordano Bruno, gli costò la vita.
CHIOSTRO DI SANT’AGOSTINO

Seconda tappa dell’itinerario legato a Cecco d’Ascoli è il chiostro di Sant’Agostino, sede in passato del liceo classico intitolato proprio a Francesco Stabili, e oggi trasformato in Polo Culturale all’interno del quale è ospitata la Biblioteca Comunale. Proprio la Biblioteca Comunale di Ascoli conserva la preziosissima edizione dell’Acerba stampata nel 1501 a Venezia da Giovanni Battista Sessa, tutta corredata da ricercate xilografie e rappresentazioni degli argomenti affrontati nell’opera.
L’Acerba, considerato il capolavoro dell’autore ascolano, è un poema in sesta rima, rimasto incompiuto all’inizio del V canto dopo la condanna al rogo di Cecco per “errori contro la fede”. Raccoglie dati astrologici, astronomici, alchimistici e naturalistici, cioè di quella che Cecco d’Ascoli considera la “vera scienza”, contrapposta alla “falsa” scienza della Commedia dantesca.
Come il suo ex amico, Cecco per la sua opera sceglie il volgare (un italiano di origine umbro-marchigiana), ma ripudia le «fabule» del suo contemporaneo, che già godevano di un notevole successo.
CHIESA DI S. FRANCESCO

La Chiesa di San Francesco è un altro simbolo delle vicende incredibili di Cecco d’Ascoli, perché a condannare l’illustre ascolano al rogo fu proprio un francescano, parte del Tribunale dell’Inquisizione, che mise all’indice una sua opera in latino, La Sfera, una raccolta commentata di trattati firmati da scienziati di diversa provenienza, che metteva in discussione e sfidava le dottrine della Chiesa Cattolica.
Cecco fu condannato nel 1324 all’abiura delle tesi presentate nella Sfera, al pagamento di una multa salatissima e al divieto di insegnare astrologia. Dopo la condanna si spostò prima a Napoli e poi a Firenze dove, forte della protezione del Duca di Calabria, per un certo periodo ricominciò a insegnare indisturbato proprio le teorie per cui era stato condannato.
Si racconta che nella primavera del 1327 Cecco, interpellato dal Duca sul futuro della figlia di appena un anno (la futura regina Giovanna I di Napoli), previde che la fanciulla avrebbe avuto una vita lussuriosa e sarebbe diventata una donna di facili costumi. Questo pronostico fece profondamente infuriare il duca, che da quel momento in poi ritrasse la sua protezione. In poco tempo, dunque, Cecco si era inimicato sia il potere temporale che quello spirituale. La seconda condanna fu pressoché inevitabile. Francesco Stabili fu bruciato pubblicamente sul rogo il 16 settembre del 1327.
Guardando, sul portale principale della chiesa, le immagini scolpite di alcuni animali, non possiamo non ricordare la suggestiva descrizione del bestiario contenuta nell’Acerba: una sorta di trattato in cui alla descrizione reale o fantastica degli animali è abbinato un commento morale. I bestiari erano molto celebri nel Medioevo ed è stato utilizzato anche da Cecco per trattare dei vizi e delle virtù umane.
Cecco fa dell’ostrica, ad esempio, la metafora della tendenza di alcuni uomini stolti che aprono la bocca e parlano a vanvera, proprio come il mollusco apre tutta la sua conchiglia quando c’è la luna piena.
Plu tace che non parla l’omo discreto, / Stando nel cerchio con l’impia sorte. / Serva la vita lo longo vedere; / Nè damno fè già mai lo bel tacere.
PONTE DI CECCO

Forse il luogo ascolano più suggestivamente legato a Cecco d’Ascoli, il ponte di Cecco che attraversa il torrente Castellano nei pressi di Porta Maggiore. Posizionato sotto la mole maestosa del Forte Malatesta era già in epoca romana un ponte importantissimo perché rappresentava l’uscita dalla città dell’antica Via Salaria. Edificato nel I secolo a. C., fu il primo ponte in muratura della città. Ma la leggenda racconta tutt’altro: si dice infatti che il ponte fu costruito da Cecco d’Ascoli in una sola notte, con l’aiuto del diavolo, evocato grazie ai poteri del Libro del Comando. In realtà il nome del ponte rimanda quasi sicuramente a Mastro Cecco aprutino che, nel 1349, su commissione di Galeotto I Malatesta, lo ristrutturò a causa delle precarie condizioni in cui versava.
Non è un caso, comunque, che Cecco venga identificato dalla tradizione popolare come un costruttore di ponti. Se si pensa al pontefice, che etimologicamente rimanda a colui che “fa ponti”, dire di Cecco fosse un costruttore di ponti significava attribuirgli grandi capacità, scientifiche e magiche, che gli permettevano di superare ostacoli insormontabili. Una metafora, dunque, per riconoscere la ricchezza e l’importanza dei suoi insegnamenti per tutta la comunità.
STATUA DI CECCO D’ASCOLI

La statua in bronzo dedicata a Cecco d’Ascoli ha una storia oscura e travagliata quasi quanto quella del personaggio che rappresenta. Nel 1919, quando fu terminata nei suoi 3,40 metri di posa severa e solenne dallo scultore Edoardo Camilli, sembrava la fine di un’epopea durata oltre cinquant’anni. La prima delibera comunale con cui fu comunicata la decisione di onorare l’illustre concittadino attraverso la costruzione di un monumento risale infatti al 1864, ma malgrado reiterati tentativi e alterne vicende, l’opposizione dei clericali alla celebrazione di un “eretico” ne impedirono la realizzazione fino a quando il conte Roberto Fiocca-Novi, ascolano trasferitosi a New York, raccolse tra i conterranei ascolani emigrati nella Grande Mela i fondi necessari alla realizzazione dell’opera. La statua, celebrata e acclamata dagli ascolani di New York, fu imbarcata per Genova e successivamente giunse ad Ascoli nel novembre del 1919.
Fu collocata sul piedistallo di marmo in piazza G. Matteotti e ricoperta da un panno. Sembrava tutto compiuto, ma in realtà l’arrivo della statua costituì una scintilla perfetta per riaccendere le polemiche e i contrasti. Così la statua rimase coperta fino alla notte del 31 dicembre del 1921, quando cinque impavidi studenti liceali, armati di scala e scalpello, procedettero a scoprire il monumento a cui il panno si era ormai attaccato per opera di due anni di pioggia e fumi.
Ma neanche questa azione clamorosa bastò: i cittadini dovettero aspettare il 2019, anno in cui si commemorava il 750° anniversario della nascita di Cecco d’Ascoli, affinché l’Amministrazione comunale si decidesse a rendere simbolicamente omaggio allo studioso ascolano inaugurando, con un secolo di ritardo, il monumento a lui dedicato. Eppure la statua, a differenza di tutti gli altri monumenti, non è stata ancora benedetta: ascolano sì, illustre sì, ma Cecco d’Ascoli per molti rimane ancora un eretico…
LA RICETTA: LE OLIVE ALL’ASCOLANA

Le olive all’ascolana – Le olive all’ascolana sono sicuramente il piatto più rappresentativo della città da cui prendono il nome. Eppure non tutti sanno che, prima di essere un piatto apprezzato in tutta Italia, queste rappresentano una varietà, protetta dal marchio Dop, del Piceno.
L’oliva ascolana tenera del Piceno Dop si distingue dalle altre per una polpa croccane e un nocciolo più piccolo rispetto alla media, che si separa facilmente da resto. Quando vi accingerete a seguire la nostra ricetta, quindi, occhio alle contraffazioni!
Ricetta
Ingredienti: 500 gr di olive ascolane in salamoia, 400 gr di carne magra di maiale, 150 gr di carne magra di pollo, 50 gr di carne di tacchino, 150 gr di parmigiano, 2 uova, cipolle q.b., carote q.b., sedano q.b., vino bianco secco q.b., sale q.b., chiodi di garofano q.b., scorza di limoni q.b., pepe q.b., pangrattato q.b., farina bianca q.b., noce moscata q.b., olio evo q.b.
Preparazione: Per preparare le olive ripiene secondo la ricetta delle nonne ascolane, iniziate a denocciolare le olive con un coltello da cucina, con un movimento che parte dal picciolo e procede a spirale. Posizionate poi le spirali di polpa in una bacinella con acqua fredda leggermente salata, e fate riposare per qualche ora.
Occupatevi ora del ripieno: fate rosolare i diversi tipi di carne insieme alle verdure e, una volta dorate, aggiungete sale e vino. Continuate a cuocere per circa 20 minuti, poi toglietele da fuoco e passatele al tritacarne, aromatizzando con un po’ di noce moscata.
A questo punto unite 2 uova e il formaggio, mescolate e fate attenzione che l’impasto rimanga morbido.
Con l’impasto formate delle palline di una dimensione tale che possano essere riavvolte dalle spirali che avete lasciato riposare in acqua.
Formate una pallina con un pizzico di questo impasto e riavvolgete su di essa la spirale che avete lasciato riposare in acqua. Passate quindi le palline avvolte dalle olive nella farina e poi nelle 2 uova rimaste, precedentemente sbattute e leggermente salate, e infine nel pangrattato.
Per passare l’esame delle nonne di Ascoli le olive finali dovranno avere una forma leggermente ovale ed essere poco più grandi di com’erano in origine.
Friggete in olio d’oliva bollente poche olive alla volta, così non rischierete di abbassare la temperatura e rovinare la frittura. Quando le olive ascolane avranno preso il loro caratteristico colore dorato scolatele, ponetele su carta paglia o assorbente e servitele calde… Buon appetito!
LA RICETTA: RAVIOLI DI CASTAGNE

Ravioli ripieni di castagne – I ravioli ripieni di castagne sono il dolce caratteristico del carnevale di Ascoli Piceno e, come per tutti i piatti tipici, ogni famiglia ne propone una variante “originale”! E c’è poco da scherzare: piuttosto che una tradizione quella dei ravioli di castagne ad Ascoli è una vera e propria devozione!
Ricetta per 80 ravioli
Ingredienti per la sfoglia: 500 gr di farina, 1 tazzina di olio di oliva, 1 tazzina di vino bianco, 2 uova intere, 1 pizzico sale, 1 cucchiaino zucchero.
Ingredienti per il ripieno: 350 gr di castagne, 30 gr di cacao amaro, 80 gr di zucchero, rum q.b., liquore Anisetta q.b., 1 tazzina di caffè.
Per completare zucchero a velo q.b.
Preparazione: Inserite tutti gli ingredienti della sfoglia in un boccale e impastate per 20 secondi. Se serve aggiungete vino e olio: l’impasto deve essere morbido ma non appiccicoso. Lasciatelo riposare mentre vi dedicate al ripieno.
Lessate le castange (sbucciate se secche, tenute in ammollo se secche) e liberatele dalla pellicina scura. Fatele freddare e frullatele insieme agli altri ingredienti del ripieno.
E ora arriva il difficile! Stendete la pasta molto sottilmente con l’apposita macchinetta, e ponete il composto di castagne sulla sfoglia aiutandovi con dei cucchiaini. Le palline di ripieno devono essere ben distanziate le une dalle altre. Continuate fino a coprire l’intera sfoglia, poi chiudete la pasta piegandola in due e creando dei ravioli con i bordi ben sigillati.
Ecco fatto: ora basta che riscaldate un tegame con abbondante olio. Una volta che l’olio sarà ben caldo, adagiate i ravioli e fateli friggere bene, fino a che non risultano dorati. Scolateli su carta assorbente e spolverate con lo zucchero a velo.
Buon appetito!

MIA!
Memoria · Identità · Ambiente