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APPIGNANO

Immerso in una distesa di verdi ulivi e segnato da scenografici , ossuti, riarsi calanchi (badlands), in una compatta lingua di sabbie e conglomerati di disfacimento alla base di Monte dell’Ascensione e di Colle Celestrino del Quaternario inferiore, delimitato dal torrente Chifenti e dal fosso San Giovanni sorge il medievale borgo di Appignano cui, per decreto regio del 13 marzo 1879, fu aggiunta la denominazione ” del Tronto”.
Tanti e densi i secoli di storia: diverse le testimonianze di insediamenti romani nella contrade di Valle San Martino, Valle Chifenti e Monte Calvo, un tempo significativamente chiamato”Villa Magna.”

Il nome Appignano compare, per la prima volta, nel diploma di Federico Barbarossa del 18 settembre 1185 come donazione dello stesso, al vescovo di Ascoli, Presbitero, da parte del conte aprutino Matteo.
Nel 1283 è documentato come libero comune con i suoi ordinamenti (statuto) e lo stemma civico rappresentante  San Giorgio.
Nel 1290-’91 si definisce la sua sottomissione ad Ascoli, diventando un suo munito avamposto contro il pericolo di incursioni fermane.
Un tempo, poderose scarpe, alte cortine, bombardiere e  rompitratte difendevano i lati di nord-est e di nord- ovest.
Oggi sopravvivono, eròse da un’invadente vegetazione significativi tratti .
Il borgo ha perduto la caratteristica forma ovale per i continui e disastrosi smottamenti che ne hanno ridotto il fitto tessuto urbano.
Lo divide a mezzo, l’ariosa e lunga via maestra, ora Via Roma, da cui si diramano le strette, tipiche rue pregne di antichi odori. Ben conservati il Vallone, appendice della strada di sotto, e la suggestiva via delle Ortiche, parallela al Vallone.
Un tempo numerosi edifici sacri caratterizzavano l’abitato ( San Francesco, san Sebastiano e Rocco, Madonna di Loreto, San Pietro , restano san Giovanni Battista e san Michele Arcangelo).
La prima sorge nel cuore storico del paese; fu eretta il 6 settembre 1468 a Pievania dal vescovo di Ascoli, Prospero Caffarelli.
Documentata già nel XIII sec., le sue forme romanico-gotiche furono arricchite da elementi rinascimentali ad opera  di un frate dell’Ordine dei Crociferi, l’appignanese Pietro Ferri,  tra la fine del sec XV e l’inizio del sec. XVI.
La facciata a coronamento orizzontale di tipo abruzzese incastona un raffinato rosone.
L’interno, diviso in tre navate da arditi arconi a tutto sesto , conserva resti di affreschi del XV-  XVI secolo; la Pentecoste di Simone de Magistris di Caldarola datata 1589. Fa parte degli arredi sacri l’artistica croce del clero del sec. XV.

Svetta sul caseggiato che gli si stringe intorno il solenne quattrocentesco campanile cuspidato alto m. 43,78. Situata all’inizio del paese, presso la porta da piedi, sorge la chiesa di San Michele Arcangelo, ricordata già nel sec. XIV, fu riedificata quasi interamente in forme lombarde alla fine del sec. XIX e inizio XX su disegno di fra Angelo da Cassano, cappuccino. La parrocchia fu affidata ai frati francescani da Sisto V con bolla del 29 agosto 1588. I frati, però, iniziarono ad officiarla nel 1620 alla morte di don Romandino Cancellieri, ultimo sacerdote diocesano. La facciata, in seguito ai terremoti del 1943 e 1951 fu rimaneggiata negli anni cinquanta. La chiesa conserva all’interno pregevoli, raffinati affreschi del pittore sambenedettese G.Pauri (1914 – 1920), una tavola attribuita a Vincenzo Pagani (1534) , commissionata dal possidente Giacomo di Pietro Pediconi. Il reliquario con la croce gemmata del secolo XIII sistemata in una struttura architettonica a forma di tempietto gotico della prima metà del 500, venerato per secoli dalla popolazione e gelosamente custodito dai frati di San Francesco in San Michele Arcangelo, oggi è esposto nell’abside di destra della Chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista.
Fuori porta da capo, poco distante dal centro storico, sorge l’oratorio dedicato a Santa Maria del Piano Santo, ultimamente tornato a splendere grazie ad un accurato restauro , conserva al suo interno il trecentesco affresco dell’Incoronazione della Vergine del maestro di Offida.
Il territorio, un tempo fiorente centro agricolo per la produzione di olio, vino e grano, si è specializzato oggi nella coltivazione dell’ulivo il cui rinomato olio continua ad essere esportato come nei secoli passati.
Timido il tentativo di uno sviluppo artigianale. Ultimamente a causa dei continui smottamenti il paese ha trovato un armonioso sviluppo edilizio nelle circostanti dolci colline.
La posizione geografica tra i vicini monti ed il vicino mare, il suggestivo manto  vegetale degli ulivi rendono Appignano luogo desiderato di soggiorno a chi cerca quiete e riposo.

 

Appignano del Tronto è terra di elevate genialità: fra Francesco Rossi d’Appignano, teologo e filosofo (1290 cir – 1350 cir.), maestro nello studio parigino dove commentò le sentenze di Pier Lombardo (1319-1321). Ebbe burrascosi rapporti con il Papa Giovanni XXII, compagno di Guglielmo di Ockham. In Appignano dal 2000 si tengono convegni internazionali sull’opera di fra Francesco; Vanne Rossi ( sec. XV), astrologo e alchimista; Pietro di Pasquale Ferri (1475? – 1532); frate Crocifero, professore di retorica. A lui si deve la sistemazione rinascimentale della chiesa di San Giovanni Battista. Amico del pittore Cola dell’Amatrice. Don Bernardino Cancellieri (sec. XVII) detto prevosto santo. E’ autore di un compendio storico della famiglia Cancellieri. Francesco Maurizi (1816-1903),con il figlio Giovanni, raffinato costruttore di violini;

Ruggero Marchei (1864 – 1944) medico, esercito’ la sua professione soprattutto nel bacino carbonifero dell’Inglesiente, aprendo la strada alla medicina sociale; Alfredo Albertini, (1881-1952) medico, esercitò la professione a Milano, pioniere nella cura e nel recupero dell’infanzia affetta da particolari patologie fisiche e mentali ; fra Gaspare Stipa (1915 – 2006) organista e compositore; Madre Maria Giacobetti (1902-1974), carismatica, di profonda vita spirituale. E’ sepolta nel santuario di Santa Maria delle Grazie, da lei voluto, in Valle Orta; Prof. Luigi Stipa (1900 – 1992) ricordato per essere un pioniere dell’aeronautica . A lui si devono i primi fondamentali studi sulla aviazione a reazione. Appignano, inoltre, annovera tra i suoi figli migliori un numero straordinario di frati francescani, sacerdoti secolari, medici e ingegneri.

LO STEMMA

LE OLIVE DI APPIGNANO

LA RACCOLTA DELLE OLIVE

Spesso si dice che la più grande soddisfazione nel creare qualcosa stia proprio nell’atto di farlo, piuttosto che nel risultato. Noi di Frantoio Muraglia lo sappiamo bene: la nostra storia familiare è fatta di terreni stupendi rigogliosi di piante magiche, di mani che si sporcano, di grandi ruote in pietra che girano instancabilmente spremendo i frutti della nostra terra.Lavorare le olive è un’arte in tutte le sue fasi: dalla raccolta delle olive alla loro molitura, sino al poterne assaporare il gusto nei nostri piatti.Per questo motivo oggi vogliamo parlarvi della prima fase della produzione dell’olio extravergine d’oliva, ossia della raccolta delle olive.Nell’andare a raccontarvi tutte le varie sfaccettature di questo processo scoprirete che ciò si può pensare come un gesto semplice e meccanico, in realtà nasconde un’infinità di segreti e tecniche diverse frutto di secoli di esperienza, anche quando vengono usati metodi più tecnologicamente avanzati.

LE OLIVE
Il primo aspetto che bisogna prendere in considerazione è il tipo di oliva da raccogliere, in quanto in base a questa differenza cambiano sia la condizione in cui deve essere il frutto per essere raccolto che il periodo dell’anno in cui abitualmente esso viene considerato maturo. Per una buona raccolta di olive da olio, ad esempio, è opportuno aspettare che il cambiamento del colore del frutto (la cosiddetta invaiatura) stia passando da verde a viola, questo perché rappresenta la fase di maturazione in cui all’interno dell’oliva è presente una maggiore quantità di olio e di sostanze fenoliche che daranno successivamente le qualità organolettiche e nutrizionali del prodotto finito.
Per quanto riguarda le olive da olio occorre fare un’ultima precisazione che chi ha come massimo interesse quello di produrre un olio unico e di estrema qualità, come noi di Frantoio Muraglia, non può assolutamente ignorare: non bisogna mai confondere una maggiore quantità di olio con la massima resa, in quanto quest’ultima si raggiunge nel momento in cui i frutti si disidratano.Aspettando questo momento è la qualità dell’olio a risentirne. L’olio di migliore qualità, invece, si ottiene nel lasso temporale in cui le olive si colorano dal verde al viola.In che modo vengono raccolte le olive? Andremo ora a scoprire le tecniche e i segreti per raccogliere questi preziosi frutti, partendo dal presupposto che vi sono due modalità principali: la raccolta manuale e quella meccanica.

 

TECNICHE DI RACCOLTA MANUALE DELLE OLIVE
Ogni metodo di raccolta ha dei diversi effetti sul frutto e sul prodotto finale, per questo motivo è sempre meglio valutare con attenzione quale utilizzare in base alla propria necessità.Le principali tecniche di raccolta a mano sono:
La bacchettatura o bacchiatura.
Metodo molto antico le cui origini risalgono ai tempi dei miti e delle leggende e consiste nel “bacchettare” i rami dell’ulivo con dei bastoni in modo da fare cadere le olive, queste vengono raccolte da delle reti poste per terra sotto la chioma degli alberi. Ovviamente, questa tecnica un po’ spartana ha come difetto il fatto che cadendo a terra il rischio che i frutti si danneggino è molto alto e per questo motivo non viene praticamente più utilizzata.
La brucatura
Consiste nel raccogliere le olive a mano direttamente dai rami. Ideale per le piante basse, ha il grande vantaggio di non danneggiare le olive ed è indicata per produrre oli di massima qualità in quanto tutti i frutti vengono selezionati a mano singolarmente. 

In questa tecnica meticolosa si utilizzano scale di vario tipo e altezza, rastrelli e pettini, così da controllare e vagliare lo stato di ogni singola oliva senza stressare i rami dell’albero. Questi sono mantenuti ad altezze particolari proprio per facilitare questo tipo di raccolto.

La pettinatura
Come suggerito dal nome, i rami degli olivi vengono passati più e più volte da degli strumenti simili a dei pettini che staccano le olive. Queste vengono raccolte da delle reti attaccate direttamente sotto gli alberi come fossero degli ombrelli capovolti, e poi selezionate con cura e separate dal fogliame e dai pezzetti di rami staccati inavvertitamente. La controindicazione di questo metodo sta nel fatto che i frutti rischiano di essere danneggiati molto facilmente dai pettini e che, quindi, richiede una seconda fase di lavoro di cernita e selezione.
La raccattatura
Altro non è che la raccolta dal terreno delle olive mature che in modo completamente naturale si sono staccate dai rami. Questo metodo è altamente sconsigliato, in quanto i frutti raccolti sono già eccessivamente maturi e quindi non contengono una quantità di olio sufficiente alle necessità di produzione. Inoltre quando l’oliva è troppo matura rischia di marcire e di essere contaminata da batteri e muffe, elementi esterni che se non prontamente rimossi si propagano facilmente in tutto ciò che è stato raccolto. Questo metodo non è indicato per la produzione di oli di qualità.
La scrollatura
Simile alla raccattatura, la scrollatura è un metodo che appartiene già a quelli considerati meccanici.

Nella scrollatura le olive vengono raccolte grazie a dei bracci meccanici che avvolgono il tronco o i rami dell’albero percuotendoli in modo blando e contenuto così da favorire la caduta dei frutti. Grazie a questa tecnica la qualità del prodotto non viene sensibilmente inficiata, in quanto questi strumenti sono dotati di strutture simili a ombrelli rovesciati pronti a favorire la raccolta.
TECNICHE DI RACCOLTA MECCANICA DELLE OLIVE
Con lo sviluppo della tecnologia sono sempre più comuni i metodi di raccolta delle olive che prevedono l’utilizzo di strumenti meccanici, i quali in maniera automatica simulano le principali tecniche di raccolta manuali.Negli ultimi anni si è, inoltre, sempre più diffuso l’impiego di pettini pneumatici, che permettono una raccolta più accurata e attenta. In conclusione si può affermare che una tecnica meccanizzata indubbiamente dà una quantità maggiore di produzione, in quanto sfrutta la forza e la resistenza degli strumenti, ma richiede molta attenzione nella fase di raccolta e selezione dei frutti, soprattutto se si vuole produrre un olio extravergine d’oliva di grande qualità.

I CALANCHI

I calanchi sono solchi di erosione prodotti dallo scorrimento superficiale delle acque meteoriche su terreni argillosi o marnosi; questi vengono incisi da canali profondi divisi da costoloni, che si sgretolano facilmente, provocando erosioni molto rapide; pertanto il paesaggio dei calanchi è in continuo mutamento, mai uguale a se stesso. Perché questo accada occorrono diversi fattori contemporanei: l’esposizione a mezzogiorno con forte insolazioni, la piovosità a carattere temporalesco, la presenza di argille.  Quest’ultima, con la rapidità del fenomeno dell’erosione, non permette alle piante di attecchire. Il paesaggio dei calanchi è un paesaggio arido e inospitale, ma pieno di fascino perché in esso è possibile vedere la forza della natura e la sua capacità nel modellare il territorio. Tali formazioni sono situate a Castignano, Appignano del Tronto, Ripatransone e ad Ascoli Piceno nel versante orientale del torrente Bretta dove si sviluppano per circa 5 km con esposizione a sud, e nel versante orientale del torrente Chifenti dove si estendono per circa 3 km.

CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA

Facciata in stile lombardo,dalla forma in origine a capanna, trasformata nel ‘700 a coronamento orizzontale (sec XVIII) – Portale e rosone rinascimentali (sec. XVI) . In secondo piano il poderoso campanile quattrocentesco.

Pentecoste  – Simone De Magistris di Caldarola (anno 1589)

Portale rinascimentale: fregio dell’architrave – Testa di Cherubino (particolare) (sec. XVI).

Orologio pubblico (sec. XVII) sistemato sulla torre campanaria quattrocentesca.

CHIESA DI SAN MICHELE ARCANGELO

La Chiesa di San Michele Arcangelo fu eretta dai maestri lombardi nel XV secolo, in seguito all’esondazione del torrente Chifente, che distrusse il convento dei frati francescani. Fu ricostruita interamente dal 1890 al 1909 per iniziativa del parroco don Giovanni Benedetti, su disegno del cappuccino fra’ Angelo da Cassano d’Adda. I lavori proseguirono negli anni successivi (nel periodo 1916-20 l’interno fu affrescato da Giuseppe Pauri) e la consacrazione avvenne solo nel 1920. I terremoti del 1943 e del 1951 provocarono danni ingenti alla facciata, ricostruita ex novo nel 1956 per iniziativa del parroco don Vittorio Luciani, su progetto di Remo Casini. Gli ornati delle lunette dei portali sono dell’offidano Aldo Sergiacomi, che li realizzò nel 1960. All’interno, sull’altare maggiore, si conservano L’Assunzione della Vergine, tela del Cinquecento ad opera del pittore Vincenzo Pagani, e un reliquiario della Santa Croce, attribuito al grande orafo Piero Vannini (XV secolo).

Navata centrale – Catino absidale Gloria di San Michele Arcangelo e volta con angeli
(Affreschi di Giuseppe Pauri 1914 – 1920)

Catino absidale – Tavola “Assunzione della Vergine” –  Vincenzo Pagani (anno 1534)

LA RICETTA: IL FRUSTINGO

Frustingo – Detto anche fristingo, frostengo, pistingo, bostrengo è uno dei pochi dolci che hanno un numero così elevato di nomi a seconda della provincia. È un dolce diffuso in gran parte delle Marche. Nato come piatto povero, la frutta secca costava poco e recuperava il pane raffermo, è oggi al contrario abbastanza costoso. Vanta un vasto repertorio di ingredienti che varia in ogni ricetta, ne esisterebbero addirittura 22 varianti, noci, mandorle, fichi secchi, talvolta farina di mais, pane raffermo, cedro candito, succo d’arancia, scorza di limone, uva sultanina, olio d’oliva, cannella, rhum, cacao, caffè, vino bianco secco e mosto cotto. Si presenta di 5 metri di altezza e non tanto lungo tanto da sembrare un pezzo di dolce o un torrone un po’ alto. Tra le tante vi proponiamo la ricetta di Pio Moises Agostini panificatore di Ascoli Piceno. Per i bimbi limitare l’uso dei liquori.

LA RICETTA: LE PERE COTTE

Pere cotte – Ogni tanto, per colazione, adoro farmi una piccola coccola con queste pere cotte, con cannella e zucchero. 
Un dolce semplice, che è buono  per  il palato ed allo stesso tempo resta leggero e digeribile, anzi, dicono che aiuti chi soffre di stipsi.
Io confesso che preparo le pere cotte solo ed esclusivamente perchè le amo, a differenza delle pere al naturale, che non mi piacciono particolarmente.
Le pere cotte, con cannella e zucchero,  le cuocio, solitamente, il giorno prima, in modo che restino in frigo, ben coperte, tutta la notte, infatti sono ottime fredde.
In una pentola, di quelle con il fondo spesso e con il coperchio perfettamente aderente, dove le pere entrano perfettamente senza accavallarsi, mettete due dita d’acqua, lo zucchero, la cannella ed i chiodi di garofano. Adagiate le pere, precedentemente lavate, con tutta la buccia. Portate a bollore e abbassare il fuoco al minimo, mettete il coperchio e fate cuocere finchè la forchetta entrerà facilmente nella pera, se le pere sono grosse, giratele di tanto in tanto, affinché tutte le parti vengano a contatto con l’acqua.

Il consiglio…

Non immergete le pere in troppa acqua, non dovete bollirle, invece, usate una pentola con un buon coperchio, in modo che all’interno si formi il vapore e cuocete a fuoco dolcissimo. Ci vorrà circa mezz’ora, ma dipende dalla grandezza delle pere.
Una volta cotte, fate raffreddare le pere fuori dalla pentola, quindi, sbucciatele delicatamente, tagliatele a metà e privatele dei semi interni e del picciolo. Nel frattempo rimettete sul fuoco il liquido di cottura delle pere, aggiungete, se lo ritenete opportuno, altra cannella. Fate restringere il liquido, noterete che tende a caramellizzare, attenzione a non bruciarlo. Rimettete le pere nel loro liquido e cuocete un altro minuto, quindi, spegnete il fuoco e fatele raffreddare.
Conservate le pere in un recipiente coperto, insieme al loro liquido, in frigo. Queste pere, fredde, sono ottime.
Servite le pere spolverizzandole di cannella.