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SAN BENEDETTO DEL TRONTO: MEMORIE DI UNA CIVILTÀ MARINARA

Un viaggio a ritroso, dalla San Benedetto cuore pulsante della Riviera delle Palme alle tradizioni di uno dei borghi marinari più importanti dell’Adriatico.

San Benedetto del Tronto è a ragione considerata una tra le più importanti realtà marinare della regione Marche e dell’area adriatica.
Antico castello posto sotto la giurisdizione di Fermo, nacque e si sviluppò attorno all’antica Pieve nel 1146. Ma è a partire dagli inizi del Settecento che si ebbe uno sviluppo notevole della sua “marina” e dell’attività peschereccia. 

Gli studenti di due classi quarte del Liceo Scientifico Benedetto Rosetti di San Benedetto si sono mossi alla ricerca di questa storia, a cavallo tra presente e passato: la vita, la società, i mestieri, ma anche la modernità di un borgo marinaro che per oltre due secoli è stato tra i principali della costa adriatica italiana, sapendo rinascere anche nei momenti più difficili, come nel secondo dopoguerra, quando provata e piegata dalle ferite del secondo conflitto mondiale si è reinventata affermandosi come il maggiore porto di natanti dediti alla pesca oceanica e anche come importante centro di commercializzazione ortofrutticola e di turismo balneare.
Gli studenti hanno cercato, studiato, interrogato esperti, e si sono avvicinati agli anziani, detentori e portatori di una cultura vastissima, con orecchie attente e occhi curiosi. Da ognuno di loro hanno avuto in regalo un frammento prezioso di conoscenze e saperi. 

Tra le tante testimonianze raccolte un aspetto in particolare ha fatto riflettere: il ruolo della donna, che oggi come un tempo è protagonista spesso dimenticata della vita economica e sociale della società, e che nella San Benedetto preindustriale, società a forte connotazione matriarcale per le assenze continue e prolungate dell’uomo impegnato in mare, assume un ruolo ancora più centrale.
Un grazie particolare va ai nonni e alle nonne che hanno condiviso esperienze e ricordi, e a Giovanni Merlini, direttore dell’Archivio Storico di San Benedetto del Tronto, che ha aperto le porte di un catalogo vastissimo di testimonianze narrando storie di un mondo tanto vicino eppure in apparenza tanto remoto con la precisione di uno studioso e la dedizione di un appassionato.

TRA LEGGENDA E MODERNITÀ

San Benedetto del Tronto tra leggenda e modernità

Nonna Pacina racconta: memorie di una società marinara

Foto gentilmente concesse dal dott. Giuseppe Merlini, direttore dell’Archivio Storico di San Benedetto del Tronto

San Benedetto si affermò sulla scena marinara dell’Adriatico alla fine del Settecento, quando dalla Puglia arrivarono due tipologie di barche, le paranze (molto più grandi) e le lancette (di dimensioni ridotte), che portarono con sé una tecnica di pesca a dir poco rivoluzionaria, la pesca a coppia: i pescatori buttavano in mare la rete e ognuna delle imbarcazioni ne tirava uno dei due capi, così che, in assenza del motore, il vento spingeva la vela, la vela spingeva lo scafo e i due scafi insieme riuscivano ad applicare maggiore forza nel rastrellamento del fondale marino.
Ogni vela, grazie al suo segno distintivo, veniva associata direttamente al proprietario e quindi all’intero clan familiare e al suo equipaggio. Dalla spiaggia, le donne e i figli dei marinai in attesa scrutavano l’orizzonte alla ricerca della vela dei propri congiunti.

A differenza di altre realtà cittadine la società di San Benedetto del Tronto era di stampo matriarcale: la donna non si occupava solamente della famiglia e della casa, ma era il fulcro dell’economia e della società, date anche le lunghe assenze dei coniugi.
La donna sambenedettese era una donna forte e vigorosa, temprata dalle fatiche della gestione casalinga e dagli oneri di un’imprenditorialità tanto elementare quanto essenziale, che la vedeva retara, pescivendola, lavandaia, tessitrice, ricamatrice…
Accudiva i figli da sola, spesso senza poter condividere con il coniuge la quotidianità dei rapporti familiari – perché questi era lontano, a pescare, oppure era morto in una delle tante sciagure del mare: per questo il rapporto della donna con i figli era saldo e profondo, come a dover compensare la mancanza di una figura paterna fluttuante e incostante.

La confezione delle vele nella società sambenedettese era prerogativa esclusiva delle donne, le cosiddette “velare”. Queste cucivano degli striscioni di stoffa, che successivamente coloravano utilizzando dei pigmenti naturali. Le donne si occupavano anche del confezionamento delle reti, che tessevano sedute davanti all’uscio di casa munite di una sedia e di una semplice linguetta (da qui il nome di “retare”). Per le famiglie dei pescatori, il lavoro delle “retare” (migliaia erano le donne dedite a questa attività) costituiva una risorsa economica aggiuntiva. Dopo il confezionamento le reti passavano nelle mani del “retiere”, un vecchio marinaio, che le tingeva di rosso immergendole in acqua bollente contenente cortecce di pino, per renderle più resistenti all’usura.
Presenti quasi in ogni fase della filiera, le donne erano anche pescivendole.

Altri mestieri tipici della società marinara sambenedettese erano quelli legati alla lavorazione della canapa: i canapini veri e propri forzati del lavoro, avevano il compito di preparare tonnellate di canapa per la lavorazione di spaghi e corde. Il lavoro di questi pettinatori di canapa era sempre uguale, tanto monotono quanto indispensabile al lavoro dei funai: dovevano maciullare la canapa, cardarla con pettini di ferro, separare la parte migliore della canapa, il fiore, dalla stoppa, e approntare i mazzi di canapa grezza pronta per la filatura da parte dei funai. di pettinare la canapa che, una volta affinata e liberata dalle impurità, veniva affidata ai funai. Questi ultimi, cingendosela attorno alla vita, la lavoravano con un po’ d’acqua e del feltro, per compattarla, fino ad ottenere lo spago, punto di partenza per la produzione delle corde. Questo procedimento richiedeva che il funaio camminasse a ritroso in un sentiero, spesso ricavato lungo le rive dei fiumi, mentre qualcuno girava la ruota attorno a cui era fissata la canapa. Il più delle volte questo qualcuno erano i bambini, che in aggiunta o in alternativa alla scuola, contribuivano attivamente all’economia familiare lavorando le materie necessarie alla costruzione delle barche oppure accompagnando per mare i propri padri.

Per circa due secoli, dal XVIII secolo fino al primo decennio del Novecento, i saperi e le competenze dei pescatori e dei marinai di San Benedetto del Tronto rimasero pressoché invariate, e furono tramandate da padre in figlio attraverso numerose generazioni.
Nel Maggio del 1912 i pescatori sambenedettesi impiegarono, per la prima volta in Italia, una barca a motore, la barca “portapesce”, che traghettava il pescato dalle barche in alto mare alla spiaggia.
Negli anni Trenta San Benedetto diventò il primo porto moto-peschereccio italiano, dal momento che la maggior parte delle barche erano motorizzate.
Tra gli anni Quaranta e Cinquanta i marinai pescavano in tutto il Mediterraneo, e durante il loro viaggi recuperarono anche molte anfore ora esposte nel “museo cittadino del mare”.
Nel 1957, con l’inizio dell’“avventura oceanica”, la struttura della nave venne rivoluzionata (con l’aggiunta del radar, dello scandaglio e della cella frigorifera) e nuove figure tecniche (come il motorista, il radarista e l’elettricista), affiancarono quelle classiche.
Il tempo porta con sé inevitabili cambiamenti, ma non bisogna mai dimenticare la propria storia poiché questa definisce l’identità di ciascuno. 

LA RICETTA: IL BRODETTO ALLA SAMBENEDETTESE

Lu vedrétte – Tipico piatto di bordo della tradizione marinara, il brodetto è una specialità conosciuta e cucinata sulla costa adriatica da Vasto a Trieste. Per questo conosce infinite variazioni a seconda dei pesci (in genere poco pregiati) e degli ingredienti impiegati: insomma, borgo marinaro che vai, brodetto che trovi. Cifre distintive del brodetto alla sanbenedettese – in dialetto “lu vredétte” – sono l’aceto, i peperoni e i pomodori verdi. Nato come piatto povero delle famiglie la cui vita ruotava intorno all’attività della pesca, oggi il brodetto è diventato un piatto di alto valore gastronomico.

Ricetta per 6 persone

Ingredienti: 1,5 Kg (sogliole, palombi, scorfani, rospi, rombi, triglie, razze, seppie, granchi)

Preparazione: soffriggete la cipolla nell’olio, e unite i pomodori tagliati a spicchi e i peperoni tagliati a fette. Cuocete il tutto per 15 minuti, aggiungete I’aceto e ultimate la cottura per altri 10 minuti. Nella stessa padella fate prima rosolare le seppie per qualche minuto, poi a strati aggiungete i rospi, i palombi e i rombi. Aspettate cinque minuti e versate il restante pesce; scuotete la padella, di tanto in tanto, per non far attaccare il pesce sul fondo. Aggiungete il peperoncino e cuocete a fuoco lento per altri 20 minuti.