ALLA SCOPERTA DI VENAROTTA
I testi sono tratti dal libro VENAROTTA scritto da Luciano Ciotti e Secondo Balena e dal libro VENAROTTA E I GIOVANI DEL BORGO (edito da PIANETA GENITORI VENAROTTA)
L’ORIGINE DEL NOME
PRIMA IPOTESTI: LA VENERE ROSSA – Quello di Venarotta è un nome che ha dato luogo ad interpretazioni diverse. Esse – ma nessuno può dirsi provata – possono essere raccolte in due grandi gruppi. Il primo, generalmente citato dagli storici più antichi, è quello che potremmo definire leggendario e che si lega, in un modo o nell’altro al nome di Venere nelle sue superfici prerogative di dea dell’amore.
Secondo un variante di questo gruppo nelle zone si sarebbe esistito un tempietto pagano dedicato alla famosa dea di Cipro che sarebbe stato distrutto dai primi cristiani onde una “Venere rotta” rovinata, distrutta e ecc. Tutto questo però contrasta con li fatto che nella dizione dialettale si dice Venaròtta (con la “ò”aperta) e non con la “ò” chiusa come sarebbe giusto nel caso di aggettivo derivato dal verbo rompere. Infatti “rotta” semmai significa “grotta “.
Un’ altra tesi, sempre di questo gruppo mitologico, giustificherebbe la “ò” aperta con il fatto che il simulacro della Dea era rosso e che esisteva ancora quando in zona – verso la metà del 500 d. C. -erano arrivati i Longobardi che, parlando antico – tedesco o gotico che sia,lo chiamarono la Venere rossa”venus -roth”.

Cioè, Venarotta. Secondo altri invece la faccenda sarebbe stata più cruenta. E cioè Longobardi avrebbero violentato alcune donne del luogo, ci sarebbe stato baruffa e relativo spargimento di sangue. Dal che una improbabile “ Venere-rossa” o “ròth” che dir si voglia. Comunque sia, tutte le diverse ipotesi di questo gruppo fanno capo al nome mitologico di Venere e sembrano riferirsi ad antichissimi riti agresti relativi alla fecondità sia della terra che degli animali e naturalmente degli uomini.
SECONDA IPOTESI: LA PIETRA ROTTA – Il secondo gruppo – che ci sembra più fondato anche se meno suggestivo – si riferisce alla natura geologica del terreno, partendo dal fatto che per Vena si intende anche un filone o uno strato di roccia.
Ora, poiché nella zona affiorano frequentemente estesi e lunghi banchi di tufo arenario del Miocene (molasse), qualcuno ritiene che il toponimo Venarotta- nel Medioevo attestato come Vena Rupta- voglia intendere una frattura di questi banchi di pietra. Infatti a Venarotta si arriva passando in mezzo a tufi fratturati.
Tuttavia anche in questo caso c’è la questione dell’accento, giacchè la “vena spezzata”
Dovrebbe dar luogo ad un toponimo “Venarotta” con la “o” chiusa e non la “o” aperta che semmai potrebbe ipotizzare una “grotta nella vena”. In ogni caso non ssi può escludere che attraverso secoli di trasmissione orale l’accento abbia perduto la caratteristica iniziale. Fatto è comunque che ci sono molte località intorno ad Ascoli caratterizzate da toponimi con la radice “Vena” chiaramente riferita agli strati di pietra e non a Venere. Basta pensare a Venagrande, Venapiccola.
Restanfo però all’ipotesi di nome derivato da una caratteristica della roccia, non è possibile rifiutare a priori l’idea che Venarotta significa semplicemente “pietra rossa” giacchè il tufo è in genere rossiccio e c’è una località, sopra in Ascoli nota come “vene rosse”. In questo caso, sempre però ammettendo variazioni fonetiche avvenute nei secoli, si sarebbe lo spazio per il “ròt” dei Longobardi che per il “roscia” del dialetto. In ogni caso non esistono fonti attendibili o testimonianze archeologiche che possono guidarci verso la verità. Possiamo solo fare come abbiamo fatto: riferire le varie tesi.
La storia di Venarotta tende in grandissima parte ad identificarsi con quella della vicina Ascoli ma non in quanto rifletterebbe un stato di subordinazione, bensì per una omogeneità che fatalmente deriva da precedenti omogeneità demograficeh, culturali, economiche. Il piccolo territorio venarottese, certamente in grado di ospitare e rifugiare le vittime cittadine delle invasioni barbariche, non poteva avere la forza per svolgere una politica autonoma.
VENAROTTA E I GIOVANI DEL BORGO
LA CHIESA DEL CARDINALE


Si narra che nel 1599 gli imprenditori ascolani (allora facenti parte dello Stato Pontificio) che producevano lana e carta si trovavano in difficoltà per la concorrenza del vicino Regno di Napoli, per cui chiesero di esser aiutati da Papa Clemente VIII.
Lo stesso invio il vicario zonale, il cardinale Ottaviano Bandini, allo scopo di risolvere ed arginare il problema. Costui nel giugno del 1599 nello scendere la “COSTA DEI GUAI” ebbe un gravoso incidente, cadde da cavallo provocandosi la rottura del femore. Fu soccorso e portato presso la casa del parroco.
Quando si seppe della notizia tutti volevano essere di aiuto e c’era ddirittura chi era pronto ad andare fino a Roma per cercare “ un gerusico” (chirurgo) perché si parlava di amputargli una gamba e tutti pregavano per la pronta guarigione dell’esimio visitatore.
In Ascoli c’era all’epoc un “frate da cerca”, che si chiamava Fra Serafino che fu chiamato ad assistere al vicario. Il mattino seguente il cardinale guarì, ma attribuì la guarigione alla preghiera dei fedeli e non alla vicinanza del buon frate che poi divenne per tutti San Serafino.
Come gesto di gratitudine il cardinale dette disposizione di costruire una chiesetta di forma ottagonale dedicata alla Madonna delle Grazie.
CHIESA DEL CASTELLO E CONVENTO DI SAN FRANCESCO
“Il Convento e l’attigua Chiesa di s. Francesco sorge sul poggio che sprofonda su un fianco e declina meno bruscamente verso l’abitato, nell’altro fianco. Non ci sono testimonianze certe ma nessuno può impedirci di pensare che in quella o altre venute ad Ascoli (si parla del 1215) S.Francesco abbia visitato il gruppo di giovani che si erano costituiti in Comunità Francescana.
Nel 1652 fu ordinata da papa Innocenzo X, la soppressione dei piccoli conventi (causa la grande proliferazione di questi, negli ultimi anni) …la cosa non fu ben gradita dal popolo venarottese che si ritrovò senza quella comunità religiosa che aveva provveduto a fare la storia del paese e del circondario. Nel 1668 dopo 16 anni dalla soppressione, papa Clemente IX, elevava la Chiesa ed il Convento di San Francesco del Castello di Venarotta al ruolo di Abbazia.
All’inizio del XVII secolo sotto la guida del padre maestro Pietro Costantini furono costruiti il portico, il campanile e furono apportati notevoli cambiamenti all’interno della Chiesa con la costruzione di nuove Cappelle in stucco nel tipico stile barocco. A costruire il Portico e il Campanile potrebber esser stati gli stessi che poi si sono dedicati alla costruzione della Chiesa del Cardinale.
All’interno risultano costruiti già nei primi decenni del XVII secolo i 6 altari o Cappelle; si riporta di diversi furti alla Reliquia della S. Croce, e di un ridimensionamento della chiesa ai quali seguirono anni di abbandono dovuti all’assenza di sacerdoti incaricati a custodirla e officiarla decorosamente.
Lo zelo del sindaco Filippo Martini permise di iniziare un intervento di restauro che ne permise la riapertura al culto dell’antica Chiesa. E grazie ad una raccolta di offerte dei parrocchiani (lire 30.000) lachiesa fu dotata di nuovi arredi.
Nel 1972 il violento terremoto segnerà un’altra data negativa nella storia dell’ex abazia di San Francesco.
Nel 1988 dopo numerosi sottoscrizioni e appelli ripetuti da parte della popolazione venarottese, l’Amministrazione Comunale riuscì ad interessare la Sovrintenza ai Monumenti di Ancona che diede vita all’ultimo intervento di restauro e ripristino della chiesa stessa.
L’assessorato alla Cultura di Ascoli Piceno, in collaborazione con l’amministrazione Comunale di Venarotta ha promosso il ripristino dell’antico Cammino Francescano della Marca, che rappresenta un ‘ooportuniotà meravigliosa per valorizzare comunità e paesaggi nel segno di antiche tradizioni.
Nell’ambito del Cammino Francescano è stato restaurato e inaugurato il nuovo Ostello sorto sulle rovine dell’antico Convento Francescano del Castello.
Il convento riqualificato è denominato ‘Spedale dei santi Francesco e Giacomo‘ in onore di due grandi Santi della Cristianità, ed ora affidato ad associazioni locali in modo da contribuirne alla crescita e diffusione del turismo religioso.
CHIESA DI GIMIGLIANO ED IL MIRACOLO DELLA MADONNINA
Gimigliano è un piccolo paese a pochi kilometri da Ascoli Piceno ed è uno dei tanti caratteristici borghi medievali piceni , sito in una suggestiva cornice paesaggistica.
Scrive un noto storico ascolano, Giuseppe Colucci, nella sua opera del 1795 “ Antichità Picene” a proposito del castello di Gimigliano: “ rimane sulle vette di un colle di vivo tufo discosto da Ascoli meno di tre miglia e l’aggregato di case è disposto in lungo.
Dicono che appartenesse all’antica famiglia Migliani di Ascoli e il nome pare che abbia un’ etimologia naturalissima presa dal germoglio del miglio, che infatti forma lo stemma di questa comunità. Gimigliano è castello fortificato dalla natura più che dall’arte: attesa l’altezza delle rupi che lo guardano da tramontana a mezzogiorno.
Poche mura da ponente e da levante lo rendevano sicurissimo. Ha il castello la sua parrocchia dedicata ai santi Quirico e Giulitta ed il territorio è suddiviso in quattro contrade: Gallignano, le Canapine, le Palombare, e le Selve.
Eppure questo anonimato storico, interruppe nell’aprile del 1948 quando una contadinella del paese di soli 13 anno di nome Anita , asserì di avere le apparizioni mariane. Le apparizioni, per un totale di 25, si protrassero fino al 23 maggio.
Queste apparizioni furono per l’epoca un evento grandioso, che attirò decine di migliaia di persone e portò l’anonimo paesino alla ribalta nazionale.
Era un tardo pomeriggio di un sabato quando ad un tratto davanti ad una nicchia, la piccola, mandata a far la legna, vide una figura luminosa : un bambino bello( racconterà lei) che indossava una veste bianca fino ai piedi che erano nudi. Quel bimbo la indurrà a pregare insieme il santo Rosario e di tornare il giorno dopo e nei giorni seguenti. Domenica 13 aprile Anita sentì l’impulso di tornare davanti la nicchia tufacea: all’improvviso alzando lo sguardo verso la roccia vide una signora luminosa e bellissima con al suo fianco l’angelo luminoso dei giorni addietro. Tutti fecero il segno della Croce e iniziarono la recita del Rosario. La Madonna fin dalle prime apparizioni chiese espressamente ad Anita di portare con sé i bimbi del paese, li voleva presenti con lei a pregare per la conversione dei peccatori e vestiti in abito bianco.
Cominciò a spargersi la voce ed alcuni cominciarono ad interessarsi alla faccenda. Ci furono delle grazie e di alcune anche delle testimonianze scritte… iniziò un vero e proprio pellegrinaggio alla grotta della devota….ma da lì cominciarono anche i comportamenti più disparati della gente: c’era chi mosso da curiosità imprecava e chi lanciava la proposta provocatoria di un segno.
L’ultima apparizione fu il 23 maggio…e dal 19 settembre del 1948 sembrava tutto finito. Oggi la devozione mariana è permessa ed ognuno è libero di credere o non credere all’apparizione.
Nel borgo gimiglianese troviamo di fronte alla chiesa il monumento dedicato ai 4 caduti in esercitazione militare aerea per i quali ogni anno viene celebrata una messa in onore dei caduti.

MIA!
Memoria · Identità · Ambiente